Dott.ssa Paola Giardini, Socia Agifar Roma

La “trincea della farmacia” è un luogo comune che definisce la battaglia giornaliera al banco.

La farmacia è il presidio territoriale considerato dal cittadino, il primo punto di informazione e rassicurazione in un momento di confusione e fake news. Non deve passare inosservato il numero di persone che non si sono recate in pronto soccorso perché fermate e filtrate dal farmacista, per telefono o in sede.

Eppure in questo periodo di emergenza causato dal Covid-19, non c’è ancora un decreto preciso e univoco che tuteli la salute del farmacista costretto a lavorare in un clima di apprensione e rischio per sé stesso e il paziente con cui entra in contatto.

Si è parlato con superficialità di speculazione in farmacia ma si fa fatica a riconoscere l’impegno che la figura professionale investe nel risolvere crescenti criticità tecniche e gestionali come l’approvvigionamento di materie prime, farmaci e dispositivi, e l’impennata dei prezzi.

Si allestiscono galenicamente preparazioni idroalcoliche in conformità con quanto prescritto dalla FU, ma, per dispositivi quali guanti, saturimetri e mascherine, la farmacia non può sopperire in alcun modo.

È richiesto al farmacista più assistenza territoriale, spesso senza dare chiare indicazioni sull’attuazione di determinati progetti. Cito l’esempio della consegna a domicilio di farmaci dove non è chiaro l’iter per l’attivazione, essenziale per le farmacie che sono sprovviste di un servizio proprio.

È stata concessa ai medici di famiglia la semplificazione della trasmissione delle ricette elettroniche e Dp, ma non si è tenuto conto delle difficoltà riscontrabili dal farmacista. Aumenta il tempo di permanenza del paziente in sede dal momento che si deve procedere con la dettatura del codice NRE e la stampa della ricetta; per non parlare delle innumerevoli incomprensioni che si vengono a creare tra cittadino e operatore sanitario.

Rimane da chiarire la ricetta rossa Webcare, spesso inviata per e-mail dal medico senza considerare che in farmacia non si può accettare la copia della medesima bensì l’originale.

Alla fatica quotidiana si aggiunge lo stress emotivo in quanto il farmacista non si sente e non è tutelato.

Non c’è un’ordinanza che dia limitazioni sull’orario di apertura della farmacia che assicura un servizio laddove i restanti esercizi commerciali sono chiusi. Aumenta la probabilità di rapina; un evento traumatico da un punto di vista economico e psicologico, soprattutto in questo momento storico.

La categoria ha allestito schermi di plexiglass in quanto costretta a lavorare, nel migliore dei casi, con mascherine monouso per più delle otto ore consentite. È una scelta della singola farmacia far rispettare le distanze nel locale e chiedere al paziente di entrare con naso e bocca coperti. Solo in caso di particolare criticità o laddove non venisse garantito un adeguato sistema di protezione individuale, l’esercizio farmaceutico può richiedere di favorire il lavoro a battenti chiusi.

L’accesso in farmacia non è regolamentabile, a differenza degli studi medici o dei presidi di primo soccorso. Ciò nonostante, il farmacista è ritenuto un operatore sanitario ma è l’unico a non avere il diritto di sottoporsi al tampone per il coronavirus.

Considerando che mediamente 200 persone entrano nel presidio farmaceutico al giorno, è ora di valutare cosa accadrebbe se un farmacista venisse contagiato dal Covid-19.

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