Mentre le Regioni utilizzano i test sierologici per far ripartire le attività, gli esperti li considerano non ancora affidabili come strumenti diagnostici.

Dott.ssa Paola Giardini, Socia Agifar Roma

Il 29 aprile è stata la data del “via libera” alla realizzazione di test sierologici, dopo che uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine ha confermato lo sviluppo di Ig nei pazienti che hanno contratto il virus SARS-CoV-2.

A seconda della metodologia di analisi, esistono i test qualitativi o rapidi che stabiliscono se una persona ha sviluppato gli anticorpi, e quelli quantitativi che quantificano gli anticorpi prodotti. Oggi, l’affidabilità di questo strumento diagnostico è fortemente messa in discussione.

L’idea comune che il test sierologico riesca ad individuare le IgM e IgG e verificare l’avvenuta formazione della memoria immunitaria, così da favorire il rientro del singolo alla vita sociale; gran parte della comunità scientifica però è in dubbio sulla reale utilità personale, sostenendone piuttosto l’impiego nel calcolo del tasso di letalità e dell’immunità di gregge.

In realtà, questi test non sono ancora abbastanza affidabili e ciò che si teme è che il loro attuale margine di errore, sebbene ristretto (90-95%), sui grandi numeri possa innescare nuovi focolai, in particolare nei casi in cui il test certifichi una falsa immunizzazione.

Vediamo nel dettaglio perché è presto per dire che sono la soluzione che ci porterà fuori dall’isolamento collettivo.

I problemi dei test sierologici sono tre. Il più rilevante, è l’accuratezza intesa come sensibilità nell’identificare le persone infette e specificità nell’identificare i non infetti. Se il test è poco sensibile, si hanno i falsi negativi; ed è quello che accade con i test rapidi con grandi limitazioni nello stabilire la soglia di separazione tra positività e negatività.

Seppure i test quantitativi siano più affidabili utilizzando una rilevazione a chemiluminescenza e EIA, il loro valore predittivo è tanto maggiore quanto lo è la popolazione infetta. Al momento, nel mondo, la prevalenza complessiva delle infezioni da Covid-19 è piuttosto bassa (ad eccezione di aree in cui si sono sviluppati importanti focolai), e questo li rende meno utili. La seconda problematica è che l’aver prodotto determinati anticorpi non esclude l’aver superato la malattia. Per diagnosticare l’infezione attiva lo strumento da utilizzare resta il tampone nasofaringeo alla comparsa dei sintomi alla conclusione della malattia.

Infine, c’è l’incognita dell’immunità. I pazienti guariti da Covid-19 hanno sviluppato IgG neutralizzanti e cioè capaci di combattere una nuova infezione; ma non è noto per quanto tempo.

Pur considerando la variante dell’interferenza immunologica secondo cui alcune persone sono più protette che altre, è certo che non si tratta di una malattia che garantisce l’immunità per tutta la vita.

Esperti di patologia clinica sono d’accordo nello stimare la validità della presenza anticorpale tra i 6 e gli 8 mesi.

Il Covid-19 è un virus influenzale e come tale, non c’è certezza che è un vaccino possa proteggerci per sempre dall’infezione.

Alla luce di quanto detto, il test sierologico ha una validità temporanea, e non solo.

“Individuare gli anticorpi tramite test sierologici è molto utile a livello epidemiologico, ma non sappiamo la durata della protezione immunologica e non otteniamo un indice di contagiosità”.

Per comprendere la vera utilità di testa siero logici nel lungo periodo bisogna aspettare.

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