Dott.ssa Maria Francesca Lioni, Socia Agifar Roma

L’idrossiclorochina (Plaquenil®) è un derivato della clorochina, molecola di origine naturale.  La clorochina ha origini antiche, ma il suo valore terapeutico come antimalarico venne riconosciuto solamente negli anni ’50. Ad oggi il derivato, preferito dai clinici per la sua migliore tollerabilità, trova applicazione in dosi da 200mg x 2 in sindromi reumatologiche su base autoimmune come l’artrite reumatoide ed il lupus eritematoso. Inoltre, l’idrossiclorochina (HCQ) ha anche una potente azione antivirale, tale da essere stata proposta come trattamento per la SARS del 2002[1]. Vista la somiglianza del virus con Sars-Cov-2 (il virus che causa il COVID-19) è attualmente utilizzata nell’ambito del piano nazionale di gestione della pandemia. L’attività antivirale si esplica in dosi già utilizzate comunemente nella pratica clinica e si manifesta, in vitro, attraverso due meccanismi: l’inibizione del legame del virus alla cellula, determinato da un aumento del pH endosomiale ed il blocco della replicazione virale. Presenta anche il vantaggio di concentrarsi a livello polmonare. Il suo utilizzo per il trattamento dei pazienti affetti da infezione da Sars-Cov-2 è da intendersi come trattamento in caso di emergenza e non per la profilassi di tale patologia. Poiché il profilo di sicurezza e gli effetti collaterali sono ben noti, sono stati intrapresi numerosi trials clinici ed inoltre, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha approvato l’utilizzo come farmaco utile nella cura del COVID-19, ovviamente in uso “off label” ed a totale carico del SSN, con Determinazione AIFA del 17 marzo 2020. Si tratta di una terapia tranquillamente gestibile a domicilio, per i pazienti le cui condizioni cliniche lo permettano. L’attenzione sull’HCQ è tanta, perciò sono emerse preoccupazioni in merito al rischio di carenza del farmaco, soprattutto a causa di fenomeni di accaparramento. Bisogna anche considerare che molti pazienti reumatici necessitano di una terapia continuativa già da prima di questa emergenza, tale da impedire la riacutizzazione della loro patologia.

L’AIFA per garantire un approccio bilanciato, che consenta l’approvvigionamento del farmaco ai pazienti in trattamento cronico, ma allo stesso tempo permetta di rispondere alla tremenda pandemia in atto, ha così suggerito ai farmacisti delle misure per la gestione del medicinale. Innanzitutto, dovrà essere sempre precisato sulla ricetta medica l’indicazione terapeutica, sia essa di tipo “on label” oppure “off label”. Inoltre, per evitare gli sprechi e l’eccessiva elargizione, consiglia di differenziare, ove possibile, l’erogazione delle quote di farmaco da destinare al trattamento dei pazienti COVID-positivi da quelle da destinare al trattamento dei pazienti cronici. Tale disposizione potrebbe essere messa in atto mediante l’ausilio della farmacia ospedaliera o distribuzione diretta. In entrambi gli scenari, si otterrebbe una distribuzione maggiormente controllata e sarebbe possibile consegnare al paziente solamente la quantità di unità posologiche ritenuta necessaria e non l’intera confezione. Generalmente il prodotto contiene 30 compresse, ma per il trattamento farmacologico per contrastare l’infezione da COVID-19 è al massimo fino a 7 giorni. L’assunzione prevede due compresse al giorno, per cui occorrono al massimo 16 compresse. Pertanto, in farmacia ospedaliera sarà possibile frazionare le dosi da consegnare al paziente, sconfezionando il prodotto nel rispetto delle NBP della F.U., ma dovranno essere fornite informazioni relative al numero del lotto ed alla scadenza della confezione di origine. Tali procedure migliorano la gestione della terapia, assicurano una riduzione del 50% degli sprechi e favoriscono eventuali attività di farmacovigilanza.

Per ora gli studi sembrano essere incoraggiati, ma la validità del trattamento e l’uso profilattico sono tutt’ora in esame in diversi studi clinici in tutto il mondo, tra cui anche un team di reumatologi dell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Umberto I di Roma [2]. La terapia a base di HCQ non è priva di effetti avversi, ciò nonostante questa nostra vecchia conoscenza inizia a farsi strada e potrebbe essere considerata al momento come una buona prospettiva, che ci lascia intravedere una luce in fondo al tunnel poiché sembrerebbe che i benefici superino i rischi. Prove definitive di efficacia e sicurezza si stanno dunque ricercando in numerosi trials. Del resto, la corsa a trovare soluzioni per contrastare la pandemia non conosce soste.

 

[1] Els Keyaerts, Leen Vijgen e Piet Maes, In vitro inhibition of severe acute respiratory syndrome coronavirus by chloroquine, in Biochemical and Biophysical Research Communications, vol. 323, n. 1, 8 ottobre 2004.

[12] Spinelli FR, Ceccarelli F, Di Franco M, et al To consider or not antimalarials as a prophylactic intervention in the SARS-CoV-2 (Covid-19) pandemic Annals of the Rheumatic Diseases 2020;79:666-667.

 

Condividi sui social!